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Oltre la repressione: Freud, Marcuse e la critica della ragione strumentale

Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, rivoluzionò la nostra comprensione della mente umana postulando l'esistenza di un inconscio che influenza profondamente i nostri pensieri e comportamenti. La sua teoria, sviluppatasi a cavallo tra il XIX e il XX secolo, si basava sull'osservazione clinica dei pazienti e sull'interpretazione dei sogni.

Freud ipotizzò l'esistenza di un'ampia porzione della mente inaccessibile alla coscienza, l'inconscio, popolato da desideri, ricordi e pulsioni rimossi. Tra queste pulsioni, le più importanti erano quelle sessuali (libido) e aggressive (Thanatos). Queste forze istintuali, secondo Freud, sono alla base di gran parte del nostro comportamento.

Un concetto fondamentale nella teoria freudiana è quello di principio di piacere. L'Es, la parte più primitiva della personalità, è governato da questo principio, che spinge l'individuo a cercare immediatamente la gratificazione delle proprie pulsioni. Tuttavia, la realtà impone dei limiti a questa ricerca del piacere, dando origine al principio di realtà. L'Io, la parte della personalità che media tra le richieste dell'Es e le esigenze del mondo esterno, è guidato da questo principio.

La repressione è un meccanismo di difesa dell'Io che consiste nel rimuovere dalla coscienza pensieri, desideri o ricordi inaccettabili. La repressione è necessaria per mantenere un equilibrio psichico e per adattarsi alla società. Tuttavia, i contenuti rimossi non scompaiono, ma continuano a influenzare il comportamento sotto forma di sintomi nevrotici o sogni. Per Freud, la civiltà è il risultato di una continua lotta tra le pulsioni individuali e le esigenze sociali. La repressione è il prezzo da pagare per vivere in società. La civiltà, in sostanza, è una rinuncia al piacere in nome di un ideale di ordine e di progresso.

Già in Freud, si intravede una certa tensione tra l'individuo e la società. La repressione, sebbene necessaria per la convivenza sociale, limita la libertà individuale e può portare a sofferenza psichica. Questa tensione sarà al centro della riflessione di Herbert Marcuse, che riprenderà e radicalizzerà le teorie freudiane.

Marcuse, a differenza di Freud, considera la repressione un prodotto storico e sociale, legato a specifiche modalità di produzione e di organizzazione del potere. Nella sua opera, Marcuse critica aspramente la società industriale avanzata, accusandola di aver trasformato l'individuo in un "uomo a una dimensione", conformista e privo di capacità critiche.

Per Marcuse, la società industriale avanzata, attraverso il principio di prestazione e la manipolazione dei bisogni, ha instaurato una forma di controllo sociale più sottile e pervasiva rispetto a quelle del passato. La repressione non è più solo un meccanismo psicologico individuale, ma un fenomeno sociale che coinvolge l'intera struttura della società.

Il concetto di "grande rifiuto" proposto da Marcuse rappresenta una sfida radicale a questo stato di cose. Marcuse invita a un rifiuto delle istituzioni e dei valori dominanti, a una liberazione degli istinti e a una riappropriazione del proprio corpo e della propria sessualità. Mentre Freud vedeva la repressione come un male necessario per la civiltà, Marcuse la considera uno strumento di dominio e un ostacolo alla liberazione umana.

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