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Che fine ha fatto la rivoluzione?

Il confronto tra l'epoca attuale ed il grande Novecento denota una pesante carenza di eventi capaci di modificare, nella sostanza, la visione del mondo e la struttura sociale. Questo tema era centrale nel pensiero di Herbert Marcuse, che teorizzava la "società unidimensionale", caratterizzata dall'assenza di pensiero rivoluzionario e dall'incapacità di superare il paradigma produttivo-burocratico.

Gli studenti del '68 e l'odierna passività

Gli studenti e gli operai del 1968 rappresentarono l'ultima grande mobilitazione rivoluzionaria. Da allora, l'Occidente vive in una fase di stallo, dominato da regole consolidate. La diagnosi di Marcuse rimane attuale: la "rivoluzione" sembra un concetto desueto nel dibattito contemporaneo.

I perchè della quiescenza rivoluzionaria

Nell'era digitale,
caratterizzata da una connessione globale e da un flusso inarrestabile di informazioni, assistiamo ad un paradosso: la "quiescenza rivoluzionaria". Sembra che il concetto di "rivoluzione", un tempo motore di cambiamento sociale e politico, sia diventato desueto, relegato ai polverosi archivi della storia.

Le ragioni di questa stasi sono complesse e multiformi:

  • Mancanza di coscienza rivoluzionaria e di classe: a differenza del 1968, oggi manca un'identità collettiva che motivi la ribellione. I giovani non si percepiscono come un fronte unito contro il sistema.
  • Mezzi di comunicazione inefficaci: i social network, pur potenti strumenti di condivisione, sono controllati dal sistema stesso, rendendo difficile la mobilitazione e la diffusione di idee rivoluzionarie.
  • Precarietà e ansia: il sistema produttivo genera stress e competizione, ostacolando la coesione e la nascita di movimenti rivoluzionari.
  • Psicologizzazione del dissenso: la critica di Marcuse alla psicoanalisi si estende alla società odierna, che tende a colpevolizzare gli individui per i propri problemi, nascondendo le disfunzioni del sistema.
  • Sfruttamento del libero pensiero: il libero pensiero viene marginalizzato sia nel dibattito pubblico che nella sfera individuale. La solitudine, momento di riflessione critica, è stigmatizzata e sostituita da una socialità prettamente conformista.

La rivoluzione non può avvenire seguendo le regole del sistema dominante. Occorre recuperare il libero pensiero, la critica sociale e la capacità di aggregazione, anche al di fuori degli schemi imposti dalla società odierna. D'altro canto, la quiescenza rivoluzionaria non deve essere interpretata come una rassegnazione all'immobilismo; al contrario, rappresenta un'opportunità per riflettere criticamente sul passato e immaginare un futuro alternativo.

Il compito di chi auspica un cambiamento non è quello di riaccendere le fiamme delle rivoluzioni del passato, ma di costruire nuove forme di dissenso e di resistenza adatte all'era digitale. In questo processo, la tecnologia può giocare un ruolo fondamentale, se utilizzata in modo consapevole e responsabile per diffondere idee, mobilitare cittadini e creare reti di solidarietà.

La strada per un futuro migliore non sarà facile. Richiederà coraggio, creatività e la tenace volontà di costruire un mondo più giusto e solidale. Ma se sapremo cogliere le sfide del presente e riconnetterci con i valori di libertà, uguaglianza e fraternità che hanno ispirato le rivoluzioni del passato, potremo aprire le porte a un nuovo orizzonte di speranza per l'umanità.

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