L'alfabetizzazione digitale, critica ed emancipazione
Marcuse, noto per le sue analisi sulle dinamiche di potere e sulla capacità dei sistemi tecnologici di rafforzare lo status quo, ci offre strumenti preziosi per riflettere sull'alfabetizzazione digitale. Sebbene vissuto in un'epoca pre-digitale, il suo pensiero critico può essere applicato per comprendere le implicazioni sociali, politiche e culturali della rivoluzione tecnologica. Marcuse non avrebbe considerato l’alfabetizzazione digitale come un mero apprendimento tecnico, ma come un processo critico di emancipazione dai meccanismi di controllo esercitati dai sistemi digitali.
Nel suo celebre L’uomo a una dimensione, Herbert Marcuse analizza come la tecnologia possa essere utilizzata per rafforzare le dinamiche di dominio. Secondo il filosofo, i sistemi tecnologici tendono a integrare gli individui in un ordine esistente, riducendo la capacità di immaginare alternative. Trasponendo questa visione al contesto digitale, Marcuse avrebbe osservato come l’alfabetizzazione digitale, se mal concepita, rischia di trasformarsi in un processo di conformazione piuttosto che di liberazione.
La formazione digitale proposta oggi spesso si limita a insegnare come usare strumenti e piattaforme (social media, software, applicazioni), senza esplorare le implicazioni politiche e sociali delle tecnologie stesse. Questo approccio ignora il potenziale di alienazione insito nel digitale, dove algoritmi, big data e logiche di sorveglianza limitano l’autonomia e manipolano il comportamento degli individui.
Un approccio marcusiano all’alfabetizzazione digitale metterebbe al centro una riflessione critica. Per Marcuse, è fondamentale analizzare le strutture di potere dietro le tecnologie digitali. Le piattaforme non sono strumenti neutrali, ma prodotti di grandi corporazioni con interessi economici e politici precisi. Alfabetizzarsi digitalmente, in questo contesto, significa comprendere come gli algoritmi filtrino le informazioni, quali dati personali vengano raccolti e in che modo questi dati siano sfruttati per influenzare opinioni e comportamenti.
L’alfabetizzazione digitale dovrebbe anche esaminare l’impatto delle tecnologie sulla coscienza sociale. Marcuse sottolineava la capacità dei sistemi tecnologici di normalizzare lo status quo, riducendo la possibilità di immaginare alternative. Nel contesto digitale, questo si manifesta attraverso le bolle di filtro, che rafforzano le opinioni preesistenti e limitano l’esposizione a idee diverse. Una vera alfabetizzazione dovrebbe aiutare gli individui a riconoscere questi meccanismi, stimolandoli a espandere il proprio orizzonte informativo.
La resistenza alle logiche di consumo e sorveglianza è un’altra componente fondamentale. Marcuse avrebbe sottolineato come il modello economico delle tecnologie digitali si basi su un capitalismo della sorveglianza, dove ogni interazione online viene monetizzata. L’alfabetizzazione, quindi, non può ignorare la necessità di educare gli utenti a riconoscere il modo in cui le loro attività digitali vengono trasformate in dati commerciabili. L’emancipazione richiede una consapevolezza critica, accompagnata dall’adozione di strategie per minimizzare la dipendenza da piattaforme commerciali e sfruttare strumenti alternativi.
Per Marcuse, tuttavia, la tecnologia non è intrinsecamente oppressiva. Può diventare uno strumento di liberazione se utilizzata per creare nuove forme di comunicazione e partecipazione. Un’alfabetizzazione digitale marcusiana dovrebbe quindi insegnare a utilizzare strumenti che promuovano la trasparenza e la decentralizzazione, come il software open source o i media indipendenti. Questo significa sviluppare competenze che non solo permettano di navigare il mondo digitale, ma anche di trasformarlo in modo critico e creativo.
La tecnologia non è mai un fine in sé, ma un mezzo che deve essere subordinato agli obiettivi umani. L’alfabetizzazione digitale, in questa prospettiva, non può limitarsi a rendere gli individui “funzionali” al sistema tecnologico, ma deve stimolare la capacità di immaginare e costruire alternative. Questo implica educare alla comprensione dei diritti digitali, come il diritto alla privacy e alla protezione dei dati, e promuovere la partecipazione attiva al dibattito sulle politiche tecnologiche.
Infine, il filosofo tedesco avrebbe sottolineato che l’alfabetizzazione digitale non deve servire solo a garantire un uso consapevole delle tecnologie, ma a inserirle in una più ampia lotta per la giustizia sociale. Solo trasformando il digitale in uno spazio di emancipazione, e non di dominio, sarà possibile contrastare le disuguaglianze e promuovere un’autentica liberazione individuale e collettiva. La tecnologia, in quest’ottica, non deve dominare l’uomo, ma servire la sua capacità di immaginare e costruire un mondo migliore.