Donald Trump e i magnati del web: l'era del potere tecnologico
L'elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti ha rappresentato non solo un evento politico epocale, ma anche un momento di consolidamento del potere tecnologico nella sfera politica. Con l'insediamento di Trump, l'élite digitale – rappresentata da figure come Elon Musk, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg – ha trovato un'inedita alleanza con la leadership politica, ridefinendo i confini tra capitalismo tecnologico e governance. Attraverso una prospettiva marcusiana, si può leggere questa transizione come una fase avanzata del capitalismo avanzato, in cui la tecnologia diventa il principale strumento egemonico di dominio economico e culturale.
Herbert Marcuse, filosofo della Scuola di Francoforte, descriveva il capitalismo avanzato come un sistema in grado di integrare e neutralizzare il dissenso attraverso l’apparente soddisfazione di bisogni che esso stesso crea. La presidenza Trump ha segnato una nuova era in cui il mito del progresso tecnologico, incarnato dai giganti della Silicon Valley, è diventato un pilastro ideologico. Musk, Bezos, Zuckerberg e gli altri grandi attori dell'economia globale, con le loro rispettive visioni futuristiche, hanno fornito un sostegno implicito e talvolta esplicito a una narrativa che unisce il potere economico al controllo culturale.
Elon Musk, fondatore di Tesla e SpaceX, è stato a tratti critico e a tratti collaborativo con l’amministrazione Trump. La sua partecipazione iniziale ai consigli economici del presidente è un chiaro esempio della convergenza tra l’ambizione tecnologica e le politiche economiche pro-business di Trump, come i tagli fiscali e la deregolamentazione. L'imprenditore sudafricano ha rappresentato il sogno americano del genio innovatore che promette di portare l’umanità su Marte, ma dietro questo mito si cela una realtà marcusiana: il progresso tecnologico come strumento per rafforzare le disuguaglianze e il dominio delle élite.
Jeff Bezos, fondatore di Amazon e proprietario del Washington Post, ha avuto un rapporto più conflittuale con Trump, ma la sua influenza economica durante il periodo presidenziale è rimasta intatta. Amazon ha prosperato sotto le politiche economiche di Trump, dimostrando come il capitalismo avanzato possa tollerare e persino alimentare conflitti interni, purché questi non minino le sue fondamenta. Bezos incarna l’archetipo dell’uomo unidimensionale marcusiano: il suo impero commerciale automatizza il consumo e lo rende inevitabile, trasformando ogni individuo in un ingranaggio del sistema economico.
Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, è stato forse il più emblematico dei magnati del web nell’era Trump. La piattaforma social è stata un campo di battaglia per la propaganda politica, le fake news e la manipolazione algoritmica degli elettori. Per Marcuse, la tecnologia non è mai neutrale: Zuckerberg ha offerto a Trump uno strumento per automatizzare il consenso, mascherando il controllo ideologico con l’apparente libertà di espressione. Le piattaforme di Zuckerberg hanno integrato il dissenso, trasformandolo in un altro prodotto da monetizzare.
Marcuse sosteneva che la tecnologia nel capitalismo avanzato non serve a liberare l’individuo, ma a renderlo più funzionale al sistema. Sotto la presidenza Trump, questo principio si è manifestato con chiarezza. L’alleanza tra politica e grandi imprese tecnologiche ha rafforzato l'illusione della libertà individuale, mentre in realtà consolidava il potere di pochi.
Twitter (poi denominato X), diventato il megafono personale di Trump, ha trasformato la politica in un flusso costante di messaggi frammentati e spettacolarizzati. Amazon ha continuato a dominare il commercio globale, automatizzando il lavoro e ridefinendo il consumo come un processo inarrestabile.Meta, invece, ha esteso il suo controllo sulla percezione pubblica, sfruttando i dati degli utenti per alimentare un sistema che perpetua il consumo e il dominio culturale.
In questo quadro, Trump ha rappresentato il catalizzatore, ma i veri protagonisti del sistema sono stati i magnati del web. Musk, Bezos e Zuckerberg hanno contribuito a plasmare un mondo in cui il potere economico e tecnologico non solo si sovrappongono, ma si rafforzano reciprocamente.
Marcuse descriveva l’uomo unidimensionale come un individuo incapace di pensiero critico, immerso in una realtà in cui le sue scelte sono già preconfigurate dal sistema. Sotto l’influenza di Trump e dell’élite tecnologica, questa figura è diventata onnipresente. Gli algoritmi di Facebook decidono cosa vedere, Amazon cosa acquistare, e SpaceX cosa sognare. La libertà promessa dalle tecnologie digitali si è rivelata una nuova forma di schiavitù, mascherata da progresso.
La presidenza Trump, sostenuta dall’élite tecnologica, non è stata affatto un’anomalia del sistema statunitense, ma il culmine di una dinamica marcusiana di razionalità repressiva. Musk, Bezos e Zuckerberg, con le loro visioni futuristiche e i loro sconfinati imperi digitali, hanno consolidato un sistema in cui il progresso tecnologico è il principale strumento di controllo economico e culturale. Senza resistenza alcuna.
Come avrebbe osservato Marcuse, il vero pericolo non è il dominio evidente, ma la capacità del sistema di mascherarlo come libertà e innovazione. In un mondo sempre più dominato dai colossi tecnologici, la sfida non è solo politica, ma anche esistenziale: come sviluppare una resistenza autentica in un’epoca in cui persino il dissenso viene integrato e monetizzato?